Estratto dal "Corriere della Sera" (Agosto 2000) di
Giovanni Sartori
I PROBLEMI DELLE MIGRAZIONI

D'agosto l'Italia si assopisce. Restano attivi solo i fuochi dei boschi e gli arrivi dei clandestini. Sul fronte degli incendi va dato credito al governo di avere finalmente reso punibili i piromani. Grazie. Sul fronte dei clandestini, invece, andiamo maluccio. Si fa poco e si pensa peggio.

Quale sarà - si è chiesto su queste colonne Galli della Loggia - l'Italia del futuro? Sarà una Italia multietnica e/o multiculturale ? E' finita, o comunque è destinata a finire, l'Italia come nazione? La domanda è importante, è seria. Ci dobbiamo pensare sul serio. A partire - perché no? - da Ferragosto.

Premetto che io non credo agli inevitabili. Chi lì afferma li produce. Dio li impicchi. Ma la cultura della resa non proviene soltanto dagli "inevitabilisti". Proviene anche dai "mammisti" (copiosamente annaffiati dalle immagini lacrimose della televisione). E viene alimentata da chi ritiene che una società multietnica e multiculturale sia "buona", che sia da desiderare e da promuovere. Vediamo.

L'argomento degli inevitabilisti è che tanto non ce la facciamo, che la resistenza è impossibile. Vedi, ci dicono, gli Stati Uniti, che vengono perforati al loro Sud da messicani e sudamericani a dispetto di ogni sorta di barriere e controlli. Sciocchezze. Se quei controlli non ci fossero gli Stati Uniti verrebbero lestamente invasi non da centinaia di migliaia ma da milioni e milioni di clandestini. Idem per l'Europa. Se non resistesse, verrebbe sommersa; mentre ora come ora, o ancora, non lo è.

L'argomento dei mammisti è invece che i derelitti del mondo debbono essere accolti per carità cristiana o perché è bene che sia così. Che far del bene sia bene, lo ritengo anch'io. Ma con un minimo di raziocinio. Volere il bene non equivale a conseguirlo. Le buone intenzioni - si sa - lastricano: l'inferno. Oggi c'è chi ritiene buona la società multietnica. Ma lo è davvero? Il dubbio e' più che lecito.

C'è poi, all'altro estremo, l'argomento utilitario. Non importa che gli extracomunitari piacciano o non piacciano; il fatto resta che sono utili, che ci servono, e che lo sviluppo economico li impone. Senza negare che anche l'economia abbia le sue ragioni, questo argomento è particolarmente malposto. Importare mano d'opera non è lo stesso che importare immigrati, e cioè potenziali cittadini. Inoltre entrare in un Paese legalmente con un contratto di lavoro in tasca è un conto; entrarci illegalmente, e spesso senza possibilità o capacità di lavoro, è un altro. E il punto è che non è certo l'economia che ci chiede di trasformare il lavoratore ospite nell'immigrato cittadino.

Dunque il problema degli extracomunitari è malamente librato tra inevitabilisti, mammisti e utilitaristi malveggenti. Fortuna che abbiamo il ministro Livia Turco che ci rassicura. Secondo lei e il suo coro non c'è problema, o meglio i problemi si risolvono trasformando gli extracomunitari in cittadini e così integrandoli. Santa semplicità.

L'integrazione dei neri americani è riuscita solo parzialmente ed è semmai in retromarcia; in Canada la comunità francofona è, dopo tre secoli, più separatista che mai; e in Europa l'integrazione è drammaticamente fallita con i baschi in Spagna, con i fiamminghi in Belgio, e tra irlandesi in Irlanda; senza contare tutte le fallitissime integrazioni dei Paesi Balcanici e dell'ex Unione Sovietica. I nostri integrazionisti dove vivono? E di che fantasie vivono? Senza contare che i clandestini che più premono alle nostre frontiere sono particolarmente inassimilabili e difficili da integrare.

Il rigetto degli estranei non avviene - quando avviene - per "razzismo", e non è soltanto o soprattutto di tipo culturale. Nei Paesi dove si addensano, gli asiatici e gli indiani non sono "resistiti". Il rigetto avviene soprattutto nei confronti degli islamici, che sottomettono la politica alla religione, e che quindi appartengono a una cultura teocratica che la civiltà occidentale non può in alcun modo accettare.
Oppure, ministro Turco, così non è?