Estratto da "Le Scienze" n°329 da: "La natura: un universo di indifferenza" di
Richard Dawkins
L'INDIFFERENZA DELLA NATURA
Dal libro "River Out of Eden: A Darwinian View of Life" BasicBooks, 1995

L'insensatezza delle domande sull'utilita' della natura
"Non riesco a convincermi - scrisse Charles Darwin - che un Dio buono e onnipotente abbia potuto creare gli icneumonidi (un tipo di vespe) facendo deliberatamente in modo che si nutrissero del corpo di bruchi ancora vivi".
Anche gli sfecidi prima di deporre l'uovo in un bruco, introducono con precisione il pungiglione in ogni ganglio del sistema nervoso centrale della preda per paralizzarla, senza tuttavia ucciderla. In questo modo la carne si conserva fresca per la larva che nascera'. Non si sa se la paralisi abbia un effetto anestetico generale o se, come il curaro, si limiti a bloccare i movimenti della vittima. Nel secondo caso, la preda potrebbe rendersi conto di essere mangiata viva da dentro, ma non riuscirebbe a muovere un muscolo per evitarlo. Questa sembra una orribile crudelta', ma come vedremo la Natura non e' crudele, e' solo inesorabilmente indifferente.

Per noi uomini questo e' uno dei fatti piu' difficili da comprendere: non sappiamo accettare qualcosa che non sia ne' buono ne' cattivo, ne' crudele ne' pietoso, ma semplicemente insensibile, indifferente a ogni sofferenza e privo di qualche finalita'

La finalita' e' radicata nella nostra visione del mondo: di fronte a qualunque cosa ci e' difficile non chiederci a quale scopo e' stata fatta, quale potrebbe essere la ragione o il fine che vi si cela. La tendenza a vedere un fine in ogni cosa e' naturale in un animale che vive circondato da macchine, opere d'arte, strumenti e altri manufatti; un animale, per di piu', i cui pensieri, per lo meno da sveglio, sono dominati da scopi, obiettivi e programmi.

Benche' di fronte a un'automobile, a un apriscatole, a un cavatappi o a un forcone sia legittimo chiedersi a che cosa serva, il semplice fatto di poter formulare una domanda non significa che essa sia legittima o sensata. Vi sono molte cose per le quali si puo' chiedere "che temperatura ha?" oppure "di che colore e'?", ma non si puo' chiedere la temperatura o il colore , per esempio, della gelosia o della preghiera. Analogamente e' giusto chiedersi "a che scopo?" a proposito dei parafanghi di una bicicletta o della diga di Kariba; ma non si deve credere che la stessa domanda abbia senso quando la si ponga a proposito di un masso, di una disgrazia, del monte Everest o dell'universo.
Certe domande sono semplicemente assurde, per quanto benintenzionato sia chi le formula.

In una posizione intermedia fra i tergicristalli e gli apriscatole, da una parte, e le rocce e l'universo, dall'altra, si situano gli esseri viventi.
I corpi degli esseri viventi e i loro organi sono oggetti che, a differenza delle rocce, sembrano portare impressa in se' la finalita'.

Naturalmente e' ben noto che l'apparente finalismo degli esseri viventi ha improntato le concezioni dei teologi, da san Tommaso d'Aquino all'inglese William Paley. Quest'ultimo, per esempio, sosteneva in pieno Settecento che se un oggetto relativamente semplice come un orologio postula un orologiaio, allora le creature viventi, che sono tanto piu' complesse, devono per forza essere state create da Dio. Anche i moderni creazionisti "scientifici" aderiscono a questo argomento del divino Architetto.

Oggi si capisce bene per quale meccanismo tutto cio' che riguarda la vita (ali, occhi, becchi, istinto di nidificazione e quant'altro) dia la tenace illusione del progetto finalistico: questa illusione e' dovuta alla selezione naturale di Darwin. Darwin capi' che gli organismi che vediamo esistono perche' i loro antenati possedevano caratteri che permisero a loro e alla loro progenie di prosperare, mentre gli individui meno adatti morirono lasciando pochi o nessun discendente.

E' sorprendente che abbiamo cominciato a capire l'evoluzione solo da pochissimo tempo, non piu' di un secole e mezzo. Prima di Darwin, anche le persone colte, che non si domandavano piu' "a che scopo?" di fronte alle rocce, torrenti, ed eclissi, ritenevano comunque legittimo porre questa domanda a proposito degli esseri viventi. Oggi solo chi non abbia alcuna cultura scientifica potrebbe nutrire una curiosita' del genere.
Ma questo "solo" non faccia dimenticare che stiamo comunque parlando della maggioranza assoluta della popolazione mondiale.

La progettazione di una macchina da preda perfetta
Darwin riteneva che la selezione naturale favorisse gli individui piu' adatti a sopravvivere e a riprodursi. Cio' equivale a dire che la selezione naturale favorisce quei geni che si replicano per molte generazioni. Benche' le due formulazioni siano piu' o meno equivalenti, il "punto di vista del gene" presenta molti vantaggi, che risultano evidenti quando si considerino due concetti tecnici: "l'ingegneria inversa" e "la funzione di utilita'".

L'ingegneria inversa e' una tecnica di ragionamento che procede in questo modo: supponiamo che un ingegnere si imbatta in un manufatto che non riesce a comprendere; allora fa l'ipotesi di lavoro che esso sia stato costruito per qualche scopo. Quindi smonta e analizza l'oggetto, tentando di immaginare quale funzione esso potrebbe avere: "Se avessi voluto costruire una macchina per fare questa determinata cosa, l'avrei fatta cosi? Oppure per spiegare l'oggetto e' meglio immaginare che esso sia stato costruito per fare quest'altra cosa?".

Oggi, nell'era dell'elettronica, il regolo calcolatore, che fino a tempi recenti e' stato il talismano dell'onorata professione dell'ingegnere, e' superato qunto un vestigio dell'Eta' del bronzo. Un archeologo del futuro che trovasse un regolo calcolatore e se ne chiedesse lo scopo, noterebbe forse che si presta tanto a tracciare linee rette quanto a imburrare fette di pane. Ma in un semplice righello o in una spatola non ci sarebbe bisogno di quell'elemento scorrevole al centro. Inoltre le sue precise scale logaritmiche sono disegnate con troppa esattezza per essere accidentali. All'Archeologo verrebbe in mente che in un era in cui non fossero ancora esistiti i calcolatori elettronici, quest'oggetto avrebbe costituito un ingegnoso strumento per eseguire con velocita' moltiplicazioni e divisioni. Il mistero del regolo calcolatore sarebbe quindi risolto grazie alla ingegneria inversa, in base alla ipotesi di un progetto intelligente ed economico".

"Funzione di utilita'" e' un termine tecnico proveniente non dall'ingegneria bensi' dall'economia e significa "cio' che viene massimizzato". I pianificatori economici e gli ingegneri sociali si comportano piu' o meno come gli architetti e gli ingegneri meccanici, perche' anch'essi si sforzano di ottimizzare qualcosa. Gli utilitaristi perseguono "la massima felicita' per il massimo numero di persone". Altri mirano dichiaratamente ad accrescere la propria felicita' a spese degli altri o del benessere comune.

Se si applicasse l'ingegneria inversa alla politica di governo di un certo paese, si potrebbe magari concludere che le variabili che vengono ottimizzate sono l'occupazione ed il benessere universali. Per un altro paese la funzione di utilita' potrebbe risultare la permanenza al potere del presidente, la ricchezza della famiglia regnante, la consistenza dell' harem del sultano, la stabilita' del Medio Oriente o quella del prezzo del petrolio. Il punto e' che si possono immaginare parecchie funzioni di utilita'. Che cosa cerchino di conseguire gli individui, le aziende o i governi non e' sempre evidente.

Torniamo agli organismi viventi e cerchiamo di identificare la loro funzione di utilita'. Ve ne potrebbero essere molte, ma alla fine si scoprirebbe che si riconducono tutte a una sola. Una maniera istruttiva di vivacizzare la nostra indagine consiste nell'immaginare che le creature viventi siano state costruite da un divino Ingegnere e tentare, mediante l'ingegneria inversa, di scoprire cio' che l'Ingegnere ha cercato di rendere massimo: cioe' la "funzione di utilita' di Dio".

I ghepardi dimostrano sotto tutti i punti di vista di essere magnificamente costruiti per qualcosa, e in questo caso dovrebbe essere abbastanza facile applicare l'ingegneria inversa per ricavare la loro funzione di utilita'. Essi sembrano ben progettati per uccidere le gazzelle. Le zanne, gli artigli, gli occhi, il naso, i muscoli delle zampe, la colonna vertebrale ed il cervello di un ghepardo sono proprio quelli che dovrebbero essere se lo scopo di Dio nel progettare questo animale fosse stato quello di rendere massimo il numero di gazzelle predate. Viceversa se applichiamo l'ingegneria inversa a una gazzella, scopriamo prove altrettano evidenti di un progetto che mira allo scopo esattamente contrario: far sopravvivere le gazzelle e far morire di fame i ghepardi.

E' come se i ghepardi fossero stati progettati da un dio e le gazzelle da un dio rivale. Oppure, se e' un unico Creatore ad aver fatto il ghepardo e la gazzella, a che gioco sta' giocando? E' un sadico che gode nell'assistere a sport sanguinari? O tenta di evitare che i mammiferi africani crescano troppo di numero? Oppure si da' da fare per far aumentare l'indice di ascolto dei programmi sul comportamento degli animali? Queste sono tutte funzioni di utilita' ragionevolissime, che potrebbero anche risultare corrette. In realta, ovviamente, sono tutte sbagliate.

La sopravvivenza del DNA come obbiettivo della natura
La vera funzione di utilita' della vita, quella che viene massimizzata nel mondo naturale, e' la sopravvivenza del DNA. Ma il DNA non vaga liberamente: e' racchiuso negli organismi viventi e deve sfruttare al massimo le leve del potere che ha a disposizione. Le sequenze geniche che si trovano nel corpo del ghepardo rendono massima la propria sopravvivenza facendo si che questo corpo uccida le gazzelle. Le sequenze che si trovano nel corpo della gazzella accrescono la propria probabilita' di sopravvivenza perseguendo il fine opposto. Ma e' la stessa funzione di utilita' cioe' la sopravvivenza del DNA, che spiega la "finalita'" sia del ghepardo che della gazzella.

Una volta accettato, questo principio spiega una grande varieta' di fenomeni altrimenti sconcertanti, tra cui le battaglie (dispendiose in termini di energia e spesso mortali) combattute dai maschi per conquistare le femmine, compresi i loro investimenti in "bellezza". Spesso i rituali dell'accoppiamento assomigliano alle sfilate per l'elezione di Miss Universo, ma con i maschi in parata sulla passerella.

La funzione della bellezza
Il canto dell'usignolo, la coda del fagiano, la fosforescenza della lucciola e le squame iridate dei pesci tropicali rendono massima la bellezza estetica, ma non si tratta, o solo per caso, di una bellezza fatta per il nostro diletto. Che noi godiamo lo spettacolo e' un corollario, un risultato del tutto accidentale. I geni che rendono i maschi attraenti per le femmine vengono automaticamente trasmessi alle generazioni successive. C'e' un'unica funzione di utilita' che dia un senso a tutte queste diverse manifestazioni della bellezza: la quantita che viene puntigliosamente ottimizzata in ogni minuscola nicchia del mondo vivente e', in ogni caso, la sopravvivenza del DNA che presiede alla caratteristica che vogliamo di volta in volta interpretare. Questo impulso giustifica ache certi misteriosi eccessi della natura. Per esempio, il pavone e' carico di fronzoli cosi' pesanti e ingombranti da essere gravemente ostacolato nei suoi tentativi di svolgere un lavoro utile (per esempio fuggire). I maschi degli uccelli canori dedicano al canto una quantita' esorbitante di tempo e di energia. Questa smodata attivita' rappresenta un pericolo, non solo perche' attira gli animali predatori, ma anche perche' consuma molta energia e porta via del tempo che potrebbe essere utilizzato per reintegrare quella energia.

Tuttavia quando si consideri la selezione naturale anche dal punto di vista dei geni, e non solo sotto il profilo della sopravvivenza e della riproduzione individuali, spiegare questi comportamenti e' facile. Dato che cio' che viene massimizzato e' sempre la sopravvivenza del DNA, nulla puo' arrestare la propagazione (se si propaga) di quel patrimonio genetico il cui unico effetto benefico sia quello di rendere i maschi attraenti per le femmine. Se certi geni conferiscono ai maschi qualita' che per le femmine della specie risultano desiderabili, questi geni, che lo si voglia o no, sopravviveranno, anche se talvolta possono mettere in pericolo la vita di alcuni individui.

L'egoismo dei geni
Gli esseri umani hanno l'amabile tendenza a supporre che "benessere" significhi benessere del gruppo, che per "bene" si intenda bene della societa' o prosperita' della specie o addirittura dell'intero ecosistema. La funzione di utilita' di Dio, come la si evince da un'osservazione realistica della selezione naturale, risulta purtroppo in contrasto con queste visioni utopiche. Certo, vi sono circostanze nelle quali i geni possono massimizzare il loro egoistico benessere programmando nell'organismo una cooperazione altruistica o addirittura un sacrificio di se'; ma il benessere del gruppo e' sempre una conseguenza fortuita, non la motivazione principale.

Quando ci si rende conto che i geni sono egoisti, si capiscono anche certi eccessi del regno vegetale. Perche' nelle foreste gli alberi sono tanto alti? Semplicemente per superare i rivali. Una funzione di utilita' "sensata" farebbe in modo che gli alberi fossero tutti bassi. In tal caso ciascuno di essi riceverebbe esattamente la stessa quantita' di luce solare, investendo molto meno in grossi tronchi e in rami robusti. Ma se fossero tutti bassi, basterebbe che un singolo albero variante crescesse un pochino di piu' e la selezione naturale non potrebbe fare altro che favorirlo. Essendo stato aumentato il piatto, tutti gli altri, come a poker, dovrebbero rispondere. Questo processo continuerebbe senza che nulla possa arrestarlo, e gli alberi diventerebbero tutti assurdi campioni di altezza e di sperpero. Ma tutto cio' e' assurdo e antieconomico solo dal punto di vista di un pianificatore economico razionale che ragionasse in termini di massimizzazione del rendimento e non di sopravvivenza del DNA.

Vi sono tantissime analogie ben note. Ai ricevimenti tutti parlano a voce tanto alta da arrochirsi. Il motivo e' che ognuno parla al massimo del volume. Se tutti si mettessero d'accordo per bisbigliare, sentirebbero tutti altrettanto bene senza sforzare tanto la voce e senza sprecare tante energie. Ma gli accordi di questo genere non funzionano se non sono imposti con la forza, perche' c'e' sempre qualche egoista che li infrange parlando a voce un po'piu' alta e, uno alla volta, gli altri sono obbligati a seguirlo. Un equilibrio stabile viene raggiunto sono quando ognuno grida con piu' fiato abbia in gola, cioe' molto piu' forte di quanto consiglierebbe la razionalita'. Il freno imposto dalla cooperazione e' spesso vanificato dall'instabilita' interna. E' raro che la funzione di utilita' di Dio coincida con il massimo bene per il massimo numero di individui. La funzione di utilita' di Dio tradisce le proprie origini nel disordinato tafferuglio che si instaura all'insegna del vantaggio egoistico.

Invecchiamento e morte conseguenza della selezione naturale
La selezione naturale favorisce un livellamento della qualita' sia verso l'alto sia verso il basso, fino a raggiungere un giusto equilibrio tra tutte le parti di un organismo vegetale o di un corpo animale. Dal punto di vista della selezione naturale, l'invecchiamento e la morte per vecchiaia (se raggiunti) sono le sgradevoli conseguenze di questa azione di bilanciamento. Siamo i discendenti di una lunghissima successione di antenati giovani, a cui i geni assicuravano vitalita' negli anni della riproduzione, ma non davano alcuna garanzia di vigore negli anni successivi. Una giovinezza sana e' essenziale per assicurare la sopravvivenza del DNA, ma una vecchiaia sana puo' essere un lusso. Ma come al solito la natura e' indifferente a questi aspetti spiacevoli per noi esseri viventi: forti o deboli, ricchi o poveri, belli o brutti, intelligenti o non.

Un universo dove regna l'indifferenza
Tornando al nostro pessimistico punto di partenza, la massimizzazione della sopravvivenza del DNA non e' certo una ricetta per la felicita'. Purche' il DNA venga trasmesso, non importa se qualcuno o qualcosa ne riceva sofferenza. I geni non si curano della sofferenza semplicemente perche' non si curano di nulla.

Per i geni della vespa di Darwin e' meglio che il bruco sia vivo, e quindi fresco, quando viene divorato, qualunque ne sia il costo in termini di sofferenza del bruco. Se la natura fosse benevola, il bruco otterrebbe almeno la piccola grazia di essere anestetizzato prima di venire mangiato vivo da dentro. Ma la Natura non e' ne' benevola ne' malevola, non e' ne pro ne' contro la sofferenza. La natura non si cura del tipo di sofferenze che infligge, purche' queste sofferenze non interferiscano con la sopravvivenza del DNA. E' facile immagianare un gene che, per esempio, tranquillizzi la gazzella quando sta' per essere azzannata a morte. La selezione naturale favorirebbe un gene siffatto? Soltanto se l'effetto calmante sulla gazzella aumentasse la probabilita' che quel gene potesse venire trasmesso alle generazioni future. Ma non c'e' motivo per cui le cose debbano andare a questo modo, e possiamo quindi supporre che le gazzelle provino un dolore e uno spavento indicibili quando vengono inseguite ed uccise, come prima o poi capita per la maggior parte di esse.

Il dolore che ogni anno provano gli organismi viventi di tutto il pianeta supera ogni possibile immaginazione. Nel minuto che occorre per scrivere questa frase, migliaia di animali vengono mangiati vivi, altri fuggono gemendo di terrore per salvarsi la vita, altri vengono letteralmente scarnificati dai loro parassiti interni, migliaia di esseri di ogni sorta muoiono di fame, di sete e di malattie. Cosi' deve essere. Se mai capita un periodo di abbondanza, subito la popolazione aumenta finche' non si ristabilisce lo stato naturale di penuria e di tribolazione.

In questo immenso universo elettroni e di geni egoisti, di cieche forze fisiche e di replicazione genetica, alcune persone soffrono, altre sono fortunate, e in tutto cio' non si trovera' mai alcun senso, alcuna ragione, alcuna giustizia. L'universo che noi contempliamo ha esattamente le proprieta' che ci aspetteremmo se, alla base, non vi fosse alcun progetto, alcuna finalita', se non vi fosse ne' il bene ne' il male, null'altro che crudele indifferenza.